Quando all’improvviso nel mezzo della vita giunge una parola mai pronunciata prima,
una densa marea ci accoglie fra le sue braccia e comincia il lungo viaggio nella magia appena iniziata,
che si leva come un grido nell’immenso hangar abbandonato dove il muschio riveste le pareti,
sulla ruggine delle creature dimenticate che abitano un mondo in rovina, una parola basta,
una parola e inizia la danza scandita che ci guida attraverso una polvere spessa di città,
fino alle vetrate di un sanatorio oscuro, ai cortili dove fiorisce la fuliggine e si annidano ombre dense,
umide ombre che danno vita a donne stanche.
Nessuna verità risiede in questi angoli e, tuttavia, lì sorprende lo sgomento muto
che riempie la vita con il suo alito di aceto-rancido aceto che scorre nella dispensa madida di un’umile casa di piacere.
E neppure questo è tutto.
Ci sono anche le conquiste di regioni ardenti, dove gli insetti vigilano la copula dei guardiani della semina che perdono la voce nelle sconfinate piantagioni di canna solcate da rapidi canali e rettili opachi dalla bianca e ricca pelle.
Oh lo zelo delle sentinelle che battono senza tregua sonori barili di petrolio
per spaventare gli insetti ostinati che la notte invia come una promessa di veglia!
In cammino verso il mare presto si dimenticano queste cose.
E se una donna attende con le sue bianche e sode cosce aperte come i rami di un fiorito pìsamo centenario,
allora il poema giunge al suo fine, non ha più senso il suo monotono lamento di fonte torbida e sempre rinnovata dal corpo stanco di viziosi ginnasti.
Solo una parola.
Una parola e inizia la danza
di una fertile miseria.
Álvaro Mutis
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